Storia della cucina regionale italiana dell'Ottocento
La cucina italiana d’inizio ‘800, non è seconda a quella francese per ricchezza e varietà di preparazioni. anche se guardata con un certa sufficienza dai buongustai d’oltralpe. La sua principale caratteristica è anzi la molteplicità di tradizioni regionali, ciascuna strettamente legata alle produzioni locali, che garantiscono la genuinità dei piatti più tipici. Accanto a questa differenziazione risalente ai secoli passati, ne troviamo un'altra corrispondente ai vari strati sociali. Gli aristocratici coltivavano un gusto raffinato, ispirato ai modelli della grande cuisine francese, mentre i più poveri, abituati a pasti assai frugali, si concedevano generose mangiate solo in occasione delle principali feste. Accanto a questi due ceti, si va però delineando una borghesia che comincia a dedicare sempre maggior attenzione alla tavola. Cultori di gastronomia e cuochi di famiglie signorili decodificano nelle loro opere il vasto patrimonio della nostra cucina regionale, con un lessico ancora incerto e in parte ricalcato su quello francese. Le varie cucine si distinguono per gli ingredienti impiegati. Nel Sud trionfano la pasta, il pomodoro e l'olio d'oliva, mentre nel Nord si affermano il riso, la polenta e il burro. La carne, bollita o stufata, comincia a entrare nell'uso comune, mentre il pollo e il cappone hanno un loro primato morale nei piccoli complessi familiari come sintomo di benessere e di festività.
La cucina dei nobili e delle corti risente dei vincoli di sangue e delle parentele d'origine. I Savoia guardano alla Francia, i Borbone alla Spagna e all'Austria, ma ognuno si innesta con entusiasmo nel filone della cucina locale che, a volte, ne guadagna con ingentilimenti e scoperte. La cucina rinascimentale sopravvive in qualche salsa speziata, nei timballi, nei pasticci, ove carni e salumi si mescolano a lasagne, maccheroni e riso.
I pasti delle classi sociali alte, fino ad allora tre nell’arco della giornata, diventarono quattro o cinque, e gli orari del loro consumo si assimilarono ai contemporanei.
- Prima colazione: tra le 7.00 e le 9.00;
- Pranzo: tra le 12.00 e le 14.00;
- Cena: verso le 20,30
- Spuntino leggero: all’1.00 di notte, fatto da chi frequentava gli spettacoli.
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Il caffè
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Il caffè per essere buono, deve essere nero come la notte, dolce come l’amore e caldo come l’inferno. Michail Bakunin
"Ma cu sti mode, oje Brìggetta, tazza ‘e cafè parite: sotto tenite ‘o zzuccaro, e ‘ncoppa, amara site…" recita una canzone napoletana del ‘900 facendo omaggio al vino d’Arabia, il caffè, e ad una fanciulla ritrosa di
nome Brigitta che come una tazza di caffè ha lo zucchero sotto ma è amara in superficie.
Sul mensile Focus/Storia ho trovato un interessante servizio che parla della storia del caffè. Poiché è una delle bevande che amo di più, ve ne propongo un riassuntino.
La bevanda derivata dal caffè sembra sia stata citata già nel IX secolo a. C. nell’Iliade, dove si parla di un "farmaco egizio" molto apprezzato per le sue proprietà eccitanti e tonificanti. La Chiesa ne proibì l’uso, definendola "la bevanda del diavolo", per le stesse ragioni ossia per la sua capacità di rendere troppo loquaci e disinibiti. Un frate maronita Antonio Fausto Nairone fra il ‘600 e il ‘700 raccontava che l’arcangelo Gabriele aveva offerto il caffè al profeta Maometto il quale, dopo aver bevuto, disarcionò in battaglia ben 40
cavalieri e rese felici sul talamo 40 donne! Tuttavia papa Clemente VIII ne era un estimatore e si rifiutò di proibirne l’uso.
Nel ‘700 si pensava che al consumo di caffè fosse legato uno stile di vita lascivo. Il compositore tedesco J. S. Bach scrisse una cantata raccontando la storia di un padre disperato che cercava di strappare la figlia dalla dipendenza al caffè! La passione per il caffè veniva coltivata nelle botteghe da giovani letterati ed intellettuali che tra una tazza ed un’altra davano vita ad accesi dibattiti filosofici ma anche politici tanto che a Londra nel 1676 un’ordinanza fece chiudere le coffè house temendo sedizioni. Ordinanza che durò poco, naturalmente
Ma l’origine della bevanda si perde nel mito. Secondo alcune leggende un incendio incenerì un arbusto di caffè in Etiopia, nel XIV secolo. Il profumo generato dai chicchi bruciati portò la popolazione a ripetere l’esperimento, inventando la tostatura. Un’altra leggenda racconta di un pastore yemenita che aveva notato le sue capre (o dromedari?) diventare inquiete e perdere il sonno, dopo aver masticato i misteriosi chicchi nei pressi della città di Mokha. Il priore del monastero del posto decise allora di bruciare quelle bacche "malefiche", ma il profumo che si sprigionò gli fece decidere di sbriciolarle nell’acqua. La bevanda ottenuta permetteva di prolungare il tempo passato in preghiera!Ad Istanbul intorno alla metà del 1500 sorsero le prime caffetterie. In Inghilterra nel 1600 ce n’erano oltre 3000. In Francia la prima fu aperta da un Siciliano mentre in Italia, nel 1615 da un veneziano. Il mercato dei chicchi di caffè faceva gola all’Europa e fu l’Olanda a metterci le mani quando furono rubate delle piantine di caffè e portate a Cylon e Giava ( Sri Lanka e Indonesia) e iniziò la commercializzazione in Europa attraverso la mitica Compagnia delle Indie. Nel 1714 furono donate due piantine di caffè a Luigi XIV e poste in una serra a Versailles, ma un ex ufficiale di marina ne rubò una e dopo una traversata avventurosa oltre l’Atlantico, riuscì ad avviare la coltivazione di caffè nella Martinica francese. Poco dopo si diffuse in tutta l’area caraibica , Haiti, Giamaica, Cuba e Portorico.
Oggi i maggiori consumatori di caffè sono gli USA per il 16% del totale, segue il Brasile per 11% ed è anche uno dei maggiori produttori. Il record del consumo pro capite va invece ai paesi del nord: Finlandia, Danimarca e Svezia. In Italia il caffè è "finito" nella letteratura da "La Bottega del Caffè" di Goldoni, a Il caffè di campagna di Pietro Chiari e poi nelle canzoni da Modugno a De Andrè, da Massimo Ranieri a Pino Daniele. Non si può dimenticare il grande Eduardo De Filippo ne "Natale in casa Cupiello" e in "Questi fantasmi"…e la sua famosa tazzulella ‘e cafè, il coppitello un beccuccio fatto di carta per coprire il becco della cuccumella e mantenere l’aroma!
E proprio a Napoli s’inventò la variante del caffè alla turca. Invece di cuocere i chicchi e stemperarli in acqua calda in un bricco di rame come si fa ancora oggi in Turchia e nel nord Africa, si provò a far colare l’acqua bollente dall’alto sulla polvere del caffè nella famosa cuccumella.
A Milano, nel 1902 nacque l’espresso da un’invenzione di Luigi Bezzera. Infine la moka, messa appunto da Alfonso Bialetti, nella quale l’acqua portata ad ebollizione, sale dal basso.
Il caffè giunge nello stomaco e tutto si mette in movimento: le idee avanzano come un battaglione su un campo di battaglia
Honoré de Balzac
Bevo 40 caffè al giorno per essere ben sveglio e pensare, pensare, pensare a come poter combattere i tiranni e gli imbecilli.
Voltaire
Al tempo della campagna d’Egitto avevo sempre sul fuoco sette bricchi di caffè, per poter discutere con i Turchi.
Napoleone Bonaparte
Nel sua aroma si dileguano le preoccupazioni e il suo fuoco incenerisce i torbidi pensieri della vita quotidiana.
Trattato arabo del XVI secolo
Il caffè ha la facoltà di indurre gli imbecilli ad agire assennatamente.
Montesquien